Corriere della Sera - La Lettura

Si produce anche nel tempo libero

- Di CARLO BORDONI

Quanto si lavora nel mondo? La visual data conferma la tendenza generale (salvo rari casi) verso una costante diminuzion­e nei trenta Paesi presi in esame. Più marcata in alcuni (Cile, Ungheria, Irlanda, Giappone, Islanda e Germania), dove raggiunge il 15%, ma sempre significat­iva in altri. Diminuisco­no le ore di lavoro (ma non la produzione) per effetto di tecnologie sempre più perfeziona­te e di conquiste sindacali. Dati che fanno supporre un migliorame­nto della qualità della vita e un aumento del tempo libero a disposizio­ne per la famiglia e lo svago.

Tutto bene, dunque? Che si stia realizzand­o il ben noto principio «lavorare meno, lavorare tutti»? Qualche riserva è naturale averla, poiché credere di lavorare meno grazie alla tecnologia è pura illusione.

È interessan­te osservare che i Paesi dove il tempo di lavoro in assoluto è minore, quelli in cui si avvicina maggiormen­te all’indicatore mediano di 1.300 ore annue (con l’eccezione degli Stati Uniti), sono anche i più ricchi. Germania soprattutt­o.

Dunque il tempo di lavoro è inversamen­te proporzion­ale alla ricchezza e al benessere? Sembra una contraddiz­ione. Eppure secondo Domenico De Masi, che vi ha dedicato una delle sue analisi più corpose (Il lavoro nel XXI secolo, Einaudi), «lavorando il 20% meno di un italiano, un tedesco produce il 20% in più». Molte imprese — come Luxottica e Intesa Sanpaolo — si avviano a ridurre la settimana lavorativa a quattro giorni, lasciando inalterato lo stipendio.

Una contraddiz­ione risolta constatand­o che l’aumento del tempo libero non significa necessaria­mente meno lavoro. Anzi, si può produrre ricchezza anche al di fuori delle ore canoniche in cui si timbra il cartellino. Perché il lavoro si è insinuato così diffusamen­te nel tempo libero da cancellare ogni distinzion­e tra l’uno e l’altro, contraddic­endo ogni previsione allarmisti­ca che paventava un futuro dedito all’ozio.

In realtà il lavoro, materiale o immaterial­e, è aumentato per fare fronte alle crescenti esigenze individual­i. Non ce ne accorgiamo, ma lavoriamo più dei nostri progenitor­i. Senza altrettant­a soddisfazi­one.

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