Corriere della Sera - La Lettura
Il dibattito delle idee
D a New Hav en (Stati Uniti)
« Fatico a capire come, in un mondo di nuovo molto instabile, tra conflitti, dittatori aggressivi e un’America che è comunque tendenzialmente in ritirata, l’Europa non sia seriamente al lavoro per rafforzare il suo dispositivo militare, creare un deterrente credibile. Almeno i principali Paesi — Francia, Germania, Italia e la stessa Gran Bretagna, anche se è fuori dall’Ue — dovrebbero avere una politica industriale militare condivisa, convergere su progetti comuni, produrre navi, aerei, missili con caratteristiche simili, potenzialmente intercambiabili tra le varie forze. E, poi, si dovrebbe investire di più nella difesa: almeno il 2,5 per cento, forse il 3 per cento del reddito nazionale, mentre oggi molti, nella Nato, non arrivano al 2. Mi pare che in Europa ci sia una mancanza di immaginazione politica, un’indecisione di fondo. Bisogna avere il coraggio di dire ai propri popoli: non sappiamo che cosa ci riserva il futuro, ma viviamo in un mondo pericoloso ed è prudente investire di più anche per difenderci».
Nel suo ufficio al secondo piano del candido edificio neoclassico dell’International Security Studies Institute dell’Università di Yale, lo storico Paul Kennedy riflette sulle trasformazioni nel mondo e su un’Europa che ha saputo costruire una straordinaria era di pace durata tre quarti di secolo. Ma che, dice, illusa da una così lunga epoca di stabilità, non si rende conto di quanto sia rischioso non avere un proprio apparato di difesa credibile: anche per questo il continente, che ha già perso la sua storica centralità, rischia di scivolare piano piano nelle retrovie del confronto tra grandi potenze.
A dispetto dell’età — classe 1945 — lo storico britannico, che ha appena festeggiato i 40 anni di insegnamento a Yale, continua a svolgere un’attività accademica intensa: «Per settimane sarò assorbito dall’esame dei paper dei miei 25 studenti undergraduate e dei 6 graduate. Saggi corposi, di almeno cinquemila parole. Poi, però, mi concentrerò sull’impianto del mio prossimo libro. Manderò lo schema al mio agente di Londra, in realtà uno scozzese: con lui vedremo il da farsi».
È questo il progetto che gli sta più a cuore: 36 anni dopo Ascesa e declino delle grandi potenze (pubblicato in Italia da Garzanti), il saggio che fu un successo mondiale e che gli ha dato la fama di profeta del crollo dell’Unione Sovietica e della prorompente ascesa della Cina, Kennedy vuole ripetere l’esercizio di prevedere le dinamiche planetarie del futuro. Progetto ambizioso che lui affronta, però, con grande modestia. Evita di fare congetture sull’esito del conflitto in Israele («troppo complesso il puzzle mediorientale e impossibile prevedere come finirà la disputa tra due popoli che reclamano la stessa terra») e ammette di avere sbagliato l’analisi su Donald Trump: «Dopo la sconfitta del 2020 ero convinto che la sua storia di protagonista della politica fosse conclusa».
Nel costruire ipotesi, Kennedy preferisce basarsi, come già fece negli anni Ottanta, su elementi strutturali: previsioni di sviluppo economico e tecnologico, andamenti demografici, potenza militare legata a obiettivi geostrategici. Ma, volendo immaginare come sarà il mondo del 2050, lo storico si rende conto che ci sono fattori — ambiente, possibili sconvolgimenti sociali e politici, guerre — in grado di alterare i parametri sui quali lavora partendo dalle analisi della Banca Mondiale, dell’Ocse e di diversi centri di ricerca privati. Cose di cui discute con gli altri docenti e anche con gli studenti.
Scendiamo al piano di sotto, nella seminar room dove una trentina di studenti e sei professori lo aspettano per un incontro concepito come un brainstorming, più che come una lezione: la presentazione Powerpoint del suo progetto editoriale, il cui titolo provvisorio è Verso un mondo tripolare.
Kennedy parte dalle analisi di Samuel Huntington sullo scontro di civiltà tra Occidente e resto del mondo per poi analizzare potenza e difficoltà della Cina e il ruolo di un’America sempre leader che da decenni gestisce con saggezza e rallenta il suo inevitabile declino in un mondo il cui baricentro scivola verso l’Asia: continente nel quale diventano potenze economiche anche Corea, Indonesia e Vietnam, oltre a Giappone, Taiwan e, ovviamente, la Cina. Poi sposta l’attenzione sulla crescita tumultuosa, anche se piena di contraddizioni, dell’India e sulle ambizioni di Narendra Modi: economiche e militari (il Paese sta costruendo addirittura sei portaerei), ma anche di peso e prestigio internazionale. Kennedy invita gli studenti ad ascoltare i messaggi rivolti al mondo che Modi trasmette ogni settimana. Intanto alle sue spalle