Corriere della Sera - Io Donna
Chiamarsi dentro
Sui social network puoi dire all’algoritmo “non mi interessa”. E arginare il disordine. Ma che succede se finiamo per trasferire questa modalità esclusiva anche nella vita fisica?
C’è un tasto fine di mondo. Non il mondo che corrisponde al Pianeta. Bensì il piccolo mondo contemporaneo nel quale trascorrono le vite digitali. In particolare su Tiktok - la piattaforma social preferita tra i più giovani, dove vengono condivisi brevi video - si può indicare all’algoritmo di essere “not interested”. Non mi interessa quel contenuto, quel tema, quell’utente. Come dire: vorrei non inciamparci più, non mi piace, mi annoia, mi irrita, mi inquieta. E poi, se non voglio invocare un bando integrale ma vedere magari subito come la storia va a finire, posso tagliare i tempi di visualizzazione: ridurre l’engagement, il mio “coinvolgimento”. Sono strategie semplici per ripulire lo spazio “Per Te” – l’area dell’esperienza personalizzata, il salotto della rilevanza - e procedere scansando quelle che considero interferenze.
nd
La funzione è naturalmente fondamentale per arginare invasioni pubblicitarie & altre molestie e contrastare così l’offensiva commerciale/culturale di Bytedance, lo sviluppatore cinese che punta a condizionare le nostre abitudini. Pensate, però, a quanto forte sarà la tentazione di trasferire lo stesso meccanismo di esclusione nella realtà fisica. Durante una conversazione in famiglia, tra amici, a scuola, mentre stai facendo la fila o la spesa. La modalità “not interested” ci sposta nel sovrappensiero. Ti sento ancora ma non ti ascolto più, sono qui ma non mi prendi.
C’è forse (anche) questo dietro il balzo globale dei disturbi dell’attenzione tra le donne dai 25 ai 34 anni. L’acronimo è Adhd, Attention Deficit Hyperactivity Disorder, disturbo da deficit di attenzione e iperattività. Le conseguenze - difficoltà di mantenere la concentrazione, comportamenti impulsivi, irrequietezza fisica – hanno sempre colpito soprattutto la popolazione maschile, con i sintomi spesso individuati (e curati) tra i bambini sin dalle elementari. Ora una ricerca britannica ha dimostrato che le prescrizioni destinate a ragazze, ventenni e persino trentenni, sono quintuplicate. La platea femminile è protagonista su Tiktok, resta a lungo negli anni accomodata in questo straordinario teatro digitale en plein air, anche quando i coetanei cominciano a confinare la propensione al gaming, quei videogiochi che fanno impazzire gli adolescenti. In tutto questo, la buona notizia è che sono stati proprio alcuni hashtag su Tiktok, associati a libere testimonianze e a descrizioni dei segnali d’allarme, a far scattare la consapevolezza di avere un problema. Le donne, hanno spiegato al Financial Times i medici autori del rapporto per il Sistema sanitario nazionale, tendono a interiorizzare i sintomi. Tengono dentro il disordine, si mimetizzano. Sono tuttavia capaci di riconoscersi allo specchio dei social, che da causa dello squilibrio diventano stanza dell’autocoscienza. Speriamo che il flusso riconducibile a #ADHD non finisca per accendere una moda, come è accaduto con i disturbi alimentari: l’anti-veleno che viene offerto al pubblico rinfrescando il veleno d’origine, chiamando all’imitazione più che alla cura.
Dovremmo tornare a parlarci, ad articolare il nostro dissenso e consenso, a inseguire le sfumature saltando l’argine del bianco/nero, favorevoli o contrari, quella catena di like o dislike che spacca l’altro da sé, lo fa a pezzi e senza impegno. Ricominciare ad ascoltare guardandoci, come ormai succede quasi solo nei film d’amore. Sempre che siate arrivate a questo punto, senza dirvi “not interested”, cioè senza voltare pagina…