Corriere della Sera - Io Donna
Anna Achmatova Versi per resistere
La grande poetessa russa ha saputo essere la voce dei perseguitati dal regime staliniano. Senza lasciare la patria
Quando conosce Amedeo Modigliani a Parigi nel 1910,
Anna Achmatova ha vent’anni e lui pochi di più. Lei, la poetessa russa, è lì in viaggio di nozze col marito Nicolaj Gumilëv, anche lui poeta.
Questo non impedisce che tra Amedeo e Anna ci sia un’attrazione irresistibile. Lei, del resto, è una bellezza perfetta per Modigliani: alta un metro e ottanta, tutta gambe, una frangia scura e spessa sopra gli intensi occhi chiari di uno strano grigio tendente al verde salvia, e un naso particolarissimo, con una gobbetta inconfondibile che su di lei sembra stupenda. Modigliani la ritrae decine di volte, perfino con un’acconciatura da principessa egizia.
In realtà lei è nata vicino a Odessa da un ingegnere navale di nome Gorenko che, non appena la figlia comincia a scrivere, mette le cose in chiaro: «Vedi di non disonorare il mio nome». Lei alza le spalle. Non sa che farsene, di quel nome. Rispolvera quello di una bisnonna tartara che ha sposato un discendente di Gengis Khan, realizzando un monogramma gemello, Anna Achmatova, AA, una musica, in russo. Di certo non immagina che essere la prima nell’ordine alfabetico, forse le farà comodo da grande, quando sotto il regime stalinista passerà intere giornate in coda ad aspettare al gelo fuori della porta del carcere che le diano qualche notizia sul marito e poi sul figlio prigionieri.
Lo scriverà lei stessa: «Davvero nessuno sa in che epoca stia vivendo. Così anche noi, all’inizio degli anni Dieci, non sapevamo di essere alla vigilia della Prima guerra mondiale e della Rivoluzione d’ottobre».
Non sapevamo: il nostro futuro non lo vediamo dentro una palla di cristallo. Nel 1912 diventa madre del suo unico figlio, Lev. Il grande amore con Nicolaj Gumilëv finisce ufficialmente nel 1918, quando divorziano e Anna sposa l’archeologo esperto di civiltà sumera Vladimir Kazimirovich Shileiko, che è anche poeta e traduttore dalle lingue antiche. Divorzierà anche da lui nel 1922, per mettersi con Nikolaj Nikolaevich Punin, storico e critico dell’arte. Tutti intellettuali.
Non sapevamo. Nicolaj Gumilëv lo fucileranno con altri 56 detenuti il 24 agosto del 1921 con l’accusa di cospirazione. Vladimir morirà di tubercolosi prima di compiere i quarant’anni. Nikolaj Punin sarà arrestato più volte, insieme al figlio di Anna e Gumilëv, Lev. Lei riuscirà a farli liberare una prima volta nel 1935, con l’aiuto del premio Nobel Boris Pasternak, l’autore de Il dottor Živago. Al secondo arresto però, condannato a dieci anni di campo di correzione ad Abel, Punin ci morirà nel 1953 a 65 anni, troppo vecchio per resistere.
Non sapevamo. Quanto all’unico figlio di Anna, Lev Nikolaevich Gumilëv, diventerà un professore di storia, orientalista, geografo, e anche lui sarà perseguitato tutta la vita dal regime: arrestato, rilasciato, arrestato di nuovo, condannato a dieci anni di campo di lavoro. Rinfaccerà alla madre di averlo di fatto abbandonato da piccolo ai nonni paterni (cosa vera) e nd di non essersi battuta abbastanza per aiutarlo durante gli arresti e la prigionia (cosa meno vera) nonostante il supporto ricevuto nel 1935 da Pasternak. A proposito di Nobel, anche Anna lo sfiorerà, due volte, nel 1965 e nel 1966. E come Pasternak non se ne andrà dalla sua Russia, nonostante tutto. Lo dice nei suoi versi, di quanto a volte ne fosse tentata.
Un intimismo rivoluzionario
Sì, perché nel frattempo Anna scrive. Racconta vita, amore e sentimenti con i suoi versi ritenuti futili, inutili e borghesi dal regime: «La poesia della Achmatova è vuota, senza principi, estranea alla nostra gente. La sua scrittura, intrisa di pessimismo e decadenza, esprime una vecchia poetica da salotto, congelata sulle posizioni dell’estetica borghese-aristocratica, danneggiando la causa dell’educazione dei nostri giovani e non può essere tollerata nella letteratura sovietica» si legge nella risoluzione del Comitato Centrale del Partito del 14 agosto 1946, anche se durante l’assedio di Leningrado l’avevano chiamata a parlare alla radio alle donne russe e poi l’avevano messa al sicuro in Uzbekistan col musicista Šostakóvič e altri intellettuali che il regime evidentemente riteneva di qualche utilità.
Non l’arrestano mai, ma le rendono la vita molto difficile. Le sue opere non possono essere pubblicate e lei vive di traduzioni. I suoi cari se la passano ancora peggio, dal 1949 Lev è nel gulag. «Questa donna è malata, / questa donna è sola, / il marito morto, il figlio in galera, / pregate per me», chiosa lei.
Il regime non ti dice nulla. Non ti dice dove è rinchiuso tuo marito, dove hanno messo tuo figlio. Non ti dice nemmeno se è vivo o morto. Anna si mette in fila con decine di altre donne nella stessa situazione, madri, figlie, mogli,