Valle d’Itria da 8 E MEZZO
Nino Rota e Handel protagonisti di un festival che crolla solo con “Norma”
MARTINA FRANCA ROTTA ALADINO E LA LAMPADA MAGICA DIRETTORE Francesco Lanzillotta REGIA Rita Cosentino BELLINI NORMA DIRETTORE Fabio Luisi REGIA Nicola Raab HANDEL ARIODANTE DIRETTORE Federico Maria Sardelli REGIA Torsten Fischer
Sembra sempre facile, la musica di Nino Rota. Difficilissimo, invece, renderne la zampillante vena melodica senza spampanarla; farne percepire i nitidi, intricati intrecci contrappuntistici senza calligrafismi; evidenziarne le innumerevoli finezze d’armonia e di sapientissimi colori stesi dall’uso magistrale non di elaborati impasti strumentali bensì di timbri puri che scintillerebbero come le gemme della caverna d’Aladino: tutte cose che la magistrale concertazione di Lanzillotta valorizza come meglio è ben difficile ipotizzare e che, sposandosi a un teatralissimo saper “raccontare in musica”, rende giustizia piena a uno dei compositori più geniali del Novecento, alla faccia della barbosa musicologia nostrana col suo ormai atrofico nasino arricciato. Ottima compagnia di canto (bella voce e morbida linea Marco Ciaponi, irresistibile la verve di Marco Filippo Romano, belle scoperte Claudia Urru e Eleonora Filipponi) e spettacolo lineare di grande intelligenza, rallegrato dagli splendidi costumi di Leila Fteita.
Nel perfetto scrigno del teatro Verdi, uno dei migliori Handel degli ultimi lustri. Alla testa della sua magnifica compagine, Sardelli srotola Ariodante con perfetto mix di rigore e fantasia lungo agogiche sempre pulsanti anche nel più lancinante degli abbandoni (cos’è l’accompagnamento della sublime “Scherza infida”!), componendo una tavolozza cromatica ricchissima che trova strepitosa simbiosi con un palcoscenico affatto privo d’oggettistica ma invece straripante di quella mutua recitazione che è l’unica, autentica connotazione d’una vera regia. Un cast perfetto per Handel è cosa rara: memorabile, questo composto non a caso da quasi tutti italiani provvisti d’ottima dizione. Cast capitanato da Cecilia Molinari: a descrivere la quale in termini di tecnica, stile e carisma, dico solo che mi pare l’unica che oggidì possa aspirare a succedere a Cecilia Bartoli. Fenomenale la personalità vocale e scenica di Teresa Iervolino nella scabrosissima parte del bieco Polinesso. Morbida e luminosa la linea vocale della Ginevra di Francesca Lombardi Mazzulli; Biagio Pizzuti ha timbro splendido e canta superbamente la carognissima “Voli colla sua tromba”; solo un po’ asprigna la comunque assai brava Dalinda di Theodora Raftis; ottimi il Lurcanio di Manuel Amati e l’Odoardo di Manuel Caputo.
Tra questi due vertici che onorano la ricorrenza del cinquantenario del festival, ancor più grida vendetta una Norma assai mal diretta nel suo costante ping-pong tra catatonia e isteria, entrambe comunque pesantissime; pessimamente cantata dalla protagonista Jacquelyn Wagner (solo aria calda giù e urla su, dizione burgunda, accento inesistente), e querulamente pigolata dall’Adalgisa di Valentina Farcas. Accanto, il rozzissimo e urlante Pollione di Airam Hernández e l’Oroveso indecente oltre umana idea di Goran Juric. Quanto allo spettacolo, sarebbe una banalissima recita in forma di concerto non fosse per diverse “idee” di puro, esilarante comico involontario.