L’Orfeo SPLENDENTE
Trascinato dal Pomo d’oro diretto da Corti, brilla il Monteverdi che ha aperto il festival cremonese. Regia non pervenuta
CREMONA MONTEVERDI
L’ORFEO INTERPRETI M. Saccardin, J. Jiayu. P.V. Molinari, R. Lia
DIRETTORE Francesco Corti
ENSEMBLE Il Pomo d’oro
REGIA Olivier Fredj
TEATRO Ponchielli
FESTIVAL Monteverdi
★★★★/★★
“Dove tutto è nato e tutto rinasce”. È questo il motto scelto quest’anno dal Monteverdi Festival per la sua 41° edizione, quanto mai lussureggiante. L’alfa e l’omega di quella che si è a lungo chiamata “musica antica” prima di rinunciare alle etichette: “Per dieci giorni Cremona, capitale ideale della Musica e dell’Opera nel mondo”, scrive il direttore artistico Andrea Cigni. Certo, non proprio tutto è nato con Monteverdi. Neppure, il melodramma. Ma questi sono cavilli musicologico-storiografici: il Divino Claudio è, da quelle parti, il padre dell’opera e guai a dubitarne. E in fondo è anche (un po’) vero. Quindi, non poteva che essere con L’Orfeo, evidente punto di partenza, che si sono aperti i festeggiamenti, poi chiusi da un gala con Cecilia Bartoli. Insomma, da una divinità all’altra.
L’Orfeo attizzava la curiosità non solo perché apriva le danze. Molte altre erano le ragioni di interesse di questa nuova produzione scenica. Innanzi tutto, la presenza del regista francese Olivier Fredj Poi, il coinvolgimento di uno dei migliori ensemble “barocchi” del momento, Il Pomo d’oro, diretto da Francesco Corti. E, infine, il fatto che il cast fosse quasi tutto giovane se non giovanissimo, costituito per lo più dai vincitori o finalisti del Cavalli Monteverdi Competition, la cui prima edizione si è tenuta lo scorso anno.
E vale la pena di partire proprio da loro, cioè dalle giovani promesse del concorso. Bravissimo l’eroe eponimo, Marco Saccardin. Musicalmente, già perfetto. Una voce ampia, timbrata, che fraseggia con maestria. Da restare ammirati dall’inizio alla fine e quasi quasi increduli. Volendo, anche lui ha un difetto: sulle scene è rigidino, probabilmente a causa della sua inesperienza. Più deludente è invece l’Euridice (e La Musica) di Jin Jiayu: gradevole sicuramente, ma dal volume assai modesto. Complessivamente comunque è omogeneo e di alto livello il cast, in cui spiccano Paola Valentina Molinari (Proserpina), Rocco Lia (Plutone) e Giacomo Nanni (Apollo) e soprattutto Alessandro Ravasio (Caronte). Del tutto a parte è la Messaggera di Margherita Sala: una vera rivelazione, una cantante totale che sa sfoggiare anche un’attorialità consumata. La sua è stata sicuramente una presenza che ha tirato il palcoscenico verso l’alto. Sotto la direzione finissima di Corti, Il Pomo d’oro ha attaccato una Toccata velocissima, sbandierando tutta la virtuosità di cui è capace. Poi, per il resto dello spettacolo, ha alternato i chiari e gli oscuri, rivelando una tavolozza ampia di colori. Spetta alla fossa il principale merito di illuminare la partitura monteverdiana, punto di incrocio di due tradizioni (Rinascimento vs Barocco) e di due linguaggi (polifonia vs monodia).
E la regia? Dai saluti finali, si è dedotto che Olivier Fredj ci fosse. Per fortuna, non era da solo: le luci (Nathalie Perrier) e i video (Jean Lecointre e Julien Meyer) ci hanno offerto momenti poetici, ispirati all’iconografia seicentesca. “E se Euridice fosse il gatto di Schrödinger”?, si chiede il regista nel programma di sala. Si lascerà il Teatro Ponchielli, pieno e osannante, senza conoscere la risposta.