Casa PUCCINI
Nel “Trittico” di Tobias Kratzer lo “Schicchi” è una sit-com vista in tv dai protagonisti del “Tabarro”. Soffocante il convento di “Suor Angelica”. Steinberg emoziona
TORINO PUCCINI
IL TRITTICO
INTERPRETI R. Frontali, S. Simoncini, E. Stikhina, A.M. Chiuri, L. Drei, M. Mezzaro, A. Vestri, E. Zilio
DIRETTORE Pinchas Steinberg
REGIA Tobias Kratzer
TEATRO Regio
★★★★★
Un Trittico nella sua interezza, meno male: Direzione eccellente. Il marcato indugio agogico che la contraddistingue crea una continua, salda tensione narrativa in virtù della calcolatissima pulsione dinamica mirata a sottolineare quell’aggregarsi di minute cellule motiviche e l’ancor più minuto eppure decisivo sfarinarsi tonale, prodigi strumentali mai autoreferenziali bensì ricondotti entrambi nell’alveo della rigorosa progressione psicodinamica: grande teatro musicale.
Sugli scudi Roberto Frontali, tuttora solidissimo nella sua linea vocale retta da tecnica e musicalità entrambe perfette, ma sempre più grande artista nel fraseggiare sia Michele che Schicchi rendendoli personaggi di memorabile spicco. Samuele Simoncini è tra i tenori che oggi vanno più tenuti d’occhio: gran tecnica vocale (la lunga, micidiale grandinata di Sol diesis che martella la conclusione del duetto con Giorgetta, per una volta non fa udire urlacci, ma per di più l’accento conferisce loro quella disperazione lancinante che ne giustifica l’improba difficoltà) al servizio d’un fraseggio da gran bell’artista. Elena Stikhina canta molto bene Giorgetta e benissimo Angelica, costruendo due personaggi (questa ancor più di quella) assai riusciti. Sempre di gran classe espressiva la Zia di Anna Maria Chiuri, ed eccellenti - cosa rara, rarissima - tutto il folto comparto delle parti di fianco, con menzione particolare per la Lauretta niente smancerosa di Lucrezia Drei e l’impetuoso Rinuccio di Matteo Mezzaro. Lo spettacolo - nato a Bruxelles nel 2021 - conferma Tobias Kratzer quale regista tra i più interessanti di oggi. L’unitarietà del Trittico resa non attraverso una drammaturgia esplicita in tal senso bensì suggerita per via indiretta: il cupo realismo del Tabarro (palcoscenico spartito in quattro ambienti, cosicché per una volta la chiatta non è un transatlantico ma insieme d’ambienti claustrofobici) diventa un fotoromanzo letto avidamente di nascosto dalle suore d’un convento che una serie di filmati in bianco e nero molto stile Nouvelle vague rendono opprimente, alienante prigione (per una volta, suor Dolcina non scaccola leziosa - mangia compulsivamente e vomita, sguardo fisso e allucinato); mentre nella chiatta, Michele guarda una sit-com opera interpretata da Schicchi e consorteria, soldi facili ancorché truffaldini, laddove Lauretta e Rinuccio sono sullo schermo i due amanti del
Tabarro e nello Schicchi si scatenano al pari di tutta la malvissuta famiglia, davanti a un pubblico di spettatori seduti su di una tribuna nel fondo, ad applaudire a comando giacché appunto di sit-com si tratta, completa di vasca idromassaggio dove tutti finiscono con lo sguazzare. Magistrali l’impiego dello spazio scenico e l’organizzazione d’una recitazione sfaccettatissima, che magistralmente definisce ciascun carattere nel mentre è posto in assoluta relazione con gli altri e con l’ambiente che li esprime: e in tal modo riflette al meglio la portentosa costruzione musicale, quella che Bruno Bartoletti non si stancava di definire (dimostrandolo) il capolavoro supremo di Puccini.