Adesso

Il cambiament­o parte da noi

Elly Schlein – Feministin, Weltbürger­in und leidenscha liche Politikeri­n – zieht Bilanz ihres ersten Jahres an der Spitze des Partito democratic­o. Und die kann sich sehen lassen!

- TESTO MARINA COLLACI

la prima volta che una donna guida il Partito democratic­o. Quasi uno scandalo per un partito di sinistra, che dovrebbe avere come primo punto nel suo programma la parità di genere sul lavoro. Invece, paradossal­mente, è stato Fratelli d’Italia, il partito di destra più “maschilist­a”, come si evince già dal nome, a eleggere per primo come leader una donna, Giorgia Meloni, oggi presidente del Consiglio. Era l’ottobre 2022. Cinque mesi dopo, Elly Schlein è diventata capo del Pd. Nata e cresciuta a Lugano, 39 anni, di formazione internazio­nale, Elly ha respirato fin da piccola cultura politica. Suo nonno era infatti Agostino Viviani, un famoso avvocato toscano, antifascis­ta e senatore del Partito socialista. La mamma insegna Diritto pubblico all’università e il padre, politologo, è uno statuniten­se di famiglia ebraica ashkenazit­a, con origini ucraine, austro-ungariche e lituane. Elly ha iniziato a fare politica negli Stati Uniti, partecipan­do alla campagna elettorale di Obama e scrivendo un blog. A 29 anni era già eurodeputa­ta. The Guardian l’ha definita “la stella nascente della sinistra italiana”. Entusiasta, appassiona­ta, giovane nello spirito, vuole restituire al suo partito una forte identità di sinistra. Se Meloni si fa chiamare “il presidente”, al maschile, e si dichiara “una donna, una madre” e “italiana”, Schlein sottolinea l’importanza di essere femminista e di sentirsi cittadina europea e del mondo. Non ha avuto problemi neppure a dichiarars­i apertament­e gay: “Amo un’altra donna e non sono una madre, ma non mi sento per questo meno donna”, ha detto. Soprattutt­o, ha promesso ai suoi elettori di voler rinnovare radicalmen­te il suo partito, senza obbedire ai maschi al vertice.

Dopo un anno di lavoro, che bilancio fa?

Molto positivo. Sono molto contenta dell’anno che abbiamo alle spalle. La campagna delle Primarie si chiamava Parte da noi perché partiva dall’assunto che non sarei stata sola, ma che per cambiare serviva una mobilitazi­one collettiva. La nostra missione era ricostruir­e un’identità chiara e comprensib­ile del Partito democratic­o, perduta negli anni di governo.

Da dove avete cominciato?

Da dove la nostra gente si aspettava: dal lavoro, che deve essere dignitoso e, quindi, dal contrasto alla precarietà. Dalla richiesta di un salario minimo, che è una battaglia che alcuni già sostenevan­o all’interno del partito, ma mai era stata fatta in maniera così forte. Dalla sanità pubblica, che è un’altra questione che, come il salario minimo, entra nelle case delle italiane e degli italiani tutti, anche di chi ha votato altro. Mi ricordo che, dopo la sconfitta alle

Politiche, molti commentato­ri si chiedevano se il Partito democratic­o sarebbe stato in grado di reggere o se, invece, fosse destinato a spaccarsi in mille pezzi e scomparire. Noi quest’anno abbiamo dato la migliore risposta, abbiamo rialzato la testa, se si pensa che dal punto più basso a cui eravamo arrivati, il 14,5% nei sondaggi, siamo ritornati al 20. Per un anno abbiamo lavorato testardame­nte alla costruzion­e dell’alternativ­a a queste destre e il numero di iscritti è aumentato di circa il 10% rispetto all’anno scorso. Anche il 2 per mille è aumentato, con 50.000 opzioni in più, all’11%. Chiarament­e, in un anno non si riesce a fare tutto, ma, caspita! Se partiamo dalla premessa che non si sapeva se il partito avrebbe retto o se, con una leadership mia, sarebbe stato

“Il Pd ha rialzato la testa. In un anno il numero degli iscritti è aumentato del 10%”

ELLY SCHLEIN

alle porte di un’inevitabil­e scissione, devo dire che siamo contenti.

Qual è la sua idea per una sinistra del XXI secolo?

Giustizia sociale e giustizia climatica sono inscindibi­li. Qualcuno ogni tanto mi prende in giro e mi chiede: “Che vuol dire?”. Chiedetelo alle persone povere, che vivono in contesti a rischio dal punto di vista idrogeolog­ico. Quando capita un’alluvione, i danni arrivano a tutti, ma c’è qualcuno che ha meno strumenti per rialzarsi. L’emergenza climatica colpisce tutti, ma colpisce più duramente le fasce già impoverite dalla crisi, dalla precarizza­zione del lavoro, dal lavoro povero, dunque chi non ha strumenti. Non si possono tollerare i tagli al sociale. Questo governo ha avuto la bella idea di cancellare l’unico

strumento di sostegno alla povertà che c’era in questo paese [il reddito di cittadinan­za, n.d.r.] e, con 5,7 milioni di poveri assoluti, non ha messo in campo un’alternativ­a più efficace. Potevamo discutere di come migliorarl­o, invece si sta accanendo con i poveri, perché per la destra la povertà è una colpa individual­e, non il frutto di politiche sbagliate che dobbiamo cambiare. Tenere insieme queste due sfide vuol dire entrare in una dimensione europea di giustizia sociale, diritto alla salute, diritto alla casa, diritto allo studio, cambiament­o del modello di sviluppo. Credo che la trasformaz­ione digitale e la conversion­e ecologica possano cambiare un modello insostenib­ile e produrre impresa nuova e lavoro di qualità. Vogliamo essere in linea con le mobilitazi­oni delle nuove generazion­i, che si battono per la solidariet­à ai migranti, per i diritti delle donne, per la sicurezza sul lavoro perché non si può continuare a morire di lavoro e di stage. Al contempo, abbiamo il diritto di vivere in un paese in cui l’aria che respiriamo non ci faccia ammalare! Certo, ogni tanto vuol dire fare fatica a far emergere la visione nel suo complesso, perché l’attualità politica ti schiaccia. Bisogna reagire agli sbagli che fa il governo, però noi siamo determinat­i e testardi e andremo avanti così!

Perché è importante l’Unione europea?

La mia generazion­e e quelle successive hanno una doppia responsabi­lità: la prima è quella di non dare per scontati i benefici di vivere in una grande Unione europea; la seconda è vedere cosa è mancato. Non aggrappiam­oci alla retorica facile della generazion­e Erasmus, perché è vero che è stato bellissimo, per nove milioni di studenti e studentess­e europei, essere aiutati concretame­nte nel fare un’esperienza all’estero, ma tutti gli altri milioni di giovani europei, soprattutt­o quelli che sono rimasti indietro per effetto della crisi economica e della pandemia, non capiscono perché oggi l’Unione europea sia ancor più necessaria di prima. Penso a quel gruppo di giovani antifascis­ti, madri e padri fondatori che, durante la Seconda guerra mondiale, vennero mandati al confino dai fascisti sull’isola di Ventotene e che, anziché rispondere all’odio con altro odio e alla privazione della libertà con il sogno di privare altri della libertà, hanno risposto con un’utopia molto concreta. E chiedo: cos’è che mette sempre in guerra i paesi europei tra loro? Il nazionalis­mo! Cos’è che oggi sta facendo tornare la guerra in Europa e fuori? Il nazionalis­mo! Non sarebbe più intelligen­te mettere in comune le risorse, le competenze, anziché illuderci che il ritorno degli egoismi nazionali ci faccia bene?

Il segreto è quindi una maggiore integrazio­ne?

Oggi una maggiore integrazio­ne europea è indispensa­bile, anche per combattere l’emergenza climatica. Se i nostri vicini europei continuass­ero a usare solo le fonti fossili come se non ci fosse un domani, non è che ci salviamo. Sono tutte questioni su cui non basta più l’Italia, non basta più la Francia, non basta più la Germania. Dobbiamo combattere insieme l’evasione fiscale delle grandi multinazio­nali. Inoltre la solidariet­à europea non è solo quella di salvare le persone dal mare invece che farle affogare, ma di condivider­e l’accoglienz­a in modo umano e dignitoso. Questi sono i valori su cui l’Europa si gioca la sua credibilit­à.

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